Roma, 15 giugno 2020
Al Presidente della Regione Siciliana
On. Nello Musumeci
All’Assessore regionale dei beni culturali e dell’Identità Siciliana
Dott. Alberto Samonà
Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie
On. Francesco Boccia
Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del Turismo
On. Dario Franceschini
Al Presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali e paesaggistici
Prof. Marco D’Alberti
Oggetto: DDL 698-500 in discussione presso l’Assemblea Regionale Siciliana – Commissione V Cultura, Formazione, Lavoro
Queste Associazioni si rivolgono alle Autorità dei Governi regionale e nazionale in indirizzo cui è affidata, secondo le rispettive competenze istituzionali, la tutela del patrimonio culturale della Nazione e della Sicilia, per esprimere le proprie forti preoccupazioni circa la legittimità degli articoli contenuti del DDL 698-500, “Disposizioni in materia di beni culturali e di tutela del paesaggio” in discussione attualmente all’Assemblea Regionale Siciliana (di seguito ARS). Il disegno di legge in oggetto, infatti, a parere di chi scrive, presenta nel suo insieme gravi aspetti di incostituzionalità riguardo al mancato rispetto del principio dettato dall’articolo 9 della Costituzione dell’obbligo della tutela del “Paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione” e contiene norme che confliggono con la legislazione nazionale di tutela che dà attuazione al dettato costituzionale dell’art. 9.
La delega del Presidente della Repubblica deve essere esercitata, quindi, entro i limiti prescritti dai decreti presidenziali del 1975, che trasferirono alla Regione Siciliana le competenze organizzative relative alle strutture della tutela, precisando che i nuovi organismi regionali, dovessero applicare la normativa nazionale di tutela del patrimonio culturale.
Si rappresentano, qui di seguito, le principali criticità del disegno di legge 698-500 in discussione presso l’Assemblea Regionale Siciliana – Commissione V Cultura, Formazione, Lavoro.
In premessa il DDL non cita i decreti delega del Presidente della Repubblica del 1975 nn. 635 e 637 e fa discendere la competenza legislativa della Regione Siciliana in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici direttamente dallo Statuto Autonomistico del 1946, approvato con Regio Decreto Legislativo il 15 maggio 1946 (n. 455) e convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
Dunque l’attuale legislatore regionale non tiene conto del presupposto giuridico fondamentale che rende possibile l’esercizio della potestà legislativa da parte dell’assemblea siciliana in materia di tutela del patrimonio culturale: la potestà legislativa espressa dall’articolo 14, lettera n) e r) dello Statuto del 1946, divenne operativa, infatti, trent’anni dopo, solo dopo la delega alla Regione di funzioni statali espressa dal più alto organo dello Stato.
La delega circoscritta delle competenze statali in materia di amministrazione dei beni culturali è stata esercitata pienamente dal legislatore siciliano con le leggi regionali che istituirono il sistema regionale di tutela multidisciplinare, le Leggi regionali nn. 80/1977 e 116/1980, tuttora vigenti, cui, però, non si dà applicazione nel DDL in esame.
Il DDL in oggetto, infatti, non fa riferimento alla L.R. 80/1977 che, dando seguito ai Decreti Presidenziali nn. 635 e 637, istituì in Sicilia il sistema delle Soprintendenze uniche territoriali (modello organizzativo peraltro oggi adottato dal MIBACT a livello nazionale) e alla successiva L.R. 116/1980, contenente le norme attuative circa la struttura, il funzionamento e l’organico del personale dell’amministrazione dei beni culturali in Sicilia, che istituirono il ruolo tecnico dei beni culturali. Si fa peraltro presente come tali disposizioni legislative siano oggi ancora vigenti, seppure svuotate e depotenziate da una lunga serie di disposizioni, circolari e norme che le hanno rese nel corso degli anni di fatto inapplicate.
La specificità delle Istituzioni di tutela e del loro personale scientifico è ampiamente riconosciuta dalla legislazione vigente, non solo per quanto riguarda il Codice dei beni culturali, che prescrive all’articolo 9bis la normativa sui “professionisti dei beni culturali”, ma anche da altre leggi dello Stato, come nel caso del DLgs 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), ove la specificità dei lavori connessi con i beni culturali sono oggetto di specifiche norme (per es. art. 25 – archeologia preventiva), oltre che di un intero capitolo del Codice dei contratti (Titolo VI, Capo III, artt. 145-151), a sua volta regolamentato dal Decreto 154/2017, emanato non a caso dal MIBACT.
Il DDL, pur avendo l’obiettivo dichiarato di adeguare il sistema regionale della tutela del patrimonio culturale agli standard organizzativi nazionali del MIBACT, non affronta le cause reali dell’inefficienza amministrativa in relazione a quei compiti di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale conservato nei suoi territori, per il quale è competente a seguito della delega delle funzioni statali da parte del Presidente della Repubblica, contenuta nei DPR nn. 635 e 637 del 30 agosto 1975.
Gravemente difforme dal sistema nazionale risulta la situazione del personale del comparto regionale dei BB.CC. che ha perso negli ultimi decenni la necessaria specificità e specializzazione richiesta dalla normativa nazionale e regionale.
Tra gli obiettivi perseguiti dal DDL in esame si rileva, invece, la volontà da parte del legislatore regionale di recepire, modificandola nei principi, la normativa nazionale di tutela del patrimonio culturale contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con DLgs n. 42/2004 e s.m.i.
Occorre chiarire l’illegittimità di tale recepimento, poiché ciò si configura come travalicamento dei limiti imposti alle norme regionali dalla gerarchia delle leggi nell’ordinamento giuridico italiano. Le norme contenute nel DDL che intendono recepire il Codice (l’intero Titolo II e l’articolo 10) sono illegittime in quanto tale Codice costituisce una riforma nazionale di carattere economico-sociale che dà attuazione ad un principio fondamentale della nostra Costituzione, l’art. 9, oltre che all’art. 117, novellato dalla Riforma Costituzionale del Titolo V del 2001. Questo è chiaramente precisato all’art. 1 dello stesso Codice: “In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice”. Pertanto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio è vigente in Sicilia dal momento della sua approvazione, in virtù del principio del recepimento dinamico.
In riferimento a quanto previsto dall’articolo 8 del predetto Codice secondo cui “restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione”, la Corte Costituzionale è più volte intervenuta confermando che la disciplina statale volta a proteggere l’ambiente e il paesaggio funziona “come un limite alla disciplina che le regioni (ndr: a statuto speciale) e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente” (sentenza C.C. n. 199 del 2014; nello stesso senso, sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008, n. 378 del 2007).
Tali sentenze richiamano l’articolo Cost. 117 che pone “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma secondo, lett. s) fra le materie nelle quali “lo Stato ha legislazione esclusiva”. La Regione Siciliana, anche nelle materie di propria competenza esclusiva ai sensi del vigente Statuto (art. 14 lett. n e r sopra richiamato), non può dunque intervenire sul piano normativo ignorando i limiti posti a livello nazionale in tema di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
Non è un caso che l’articolo 55 (“Abrogazione di norme”) del DDL di cui si discute preveda l’abrogazione del comma 6 dell’articolo 8 e dell’articolo 13 della Legge regionale 6 maggio 2019, n.5, norme che il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva impugnato davanti alla Corte Costituzionale in quanto ritenute lesive dei principi sopra enunciati in tema di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
Alla luce degli orientamenti della Corte Costituzionale devono considerarsi lesive dei principi costituzionali le norme proposte agli articoli:
– articolo 4 in quanto replica l’articolo 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
– articolo 5 che prescrive l’applicazione di articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio vigenti su tutto il territorio nazionale dal momento dell’approvazione del DLgs. 42/2004.
– art. 6 che prescrive al comma 1 che gli interventi soggetti ad autorizzazione “sono subordinati ad autorizzazione del dirigente generale del dipartimento dei beni culturali e della identità siciliana”. Questo è in contrasto con quanto prescritto dall’art. 21 del Codice che espressamente dà ai Soprintendenti la potestà di autorizzazione di interventi sui beni culturali e quindi non possono essere attribuiti al dirigente generale del dipartimento, che non è un organo tecnico-scientifico.
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, art. 21, commi 4 e 5:
4. L’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’articolo 20, comma 1.
5. L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione.)
– art. 7 del DDL che assegna la tutela dei beni culturali e paesaggistici ad accordi tra amministrazioni, scavalcando il ruolo tecnico-scientifico delle istituzioni di tutela, in contrasto con gli obblighi di tutela imposti appunto dall’art. 9 della Costituzione. A sostegno della illegittimità di questa norma, occorre rilevare il fatto che anche la L. 124/2015, nota anche come Legge Madia sulla semplificazione amministrativa, ha dovuto escludere la fattispecie delle autorizzazioni sui beni culturali e paesaggistici dalla possibilità di accordi tra Enti diversi, proprio perché i pareri degli Enti di tutela sono imposti da obblighi costituzionali.
– articolo 8 che assegna tutti i compiti di conservazione, studio e restauro dell’intero patrimonio culturale siciliano al Centro regionale del restauro, in palese contraddizione con quanto stabilito dalle LL. RR. 80/1977 e 116/1980 sui compiti istituzionali delle Soprintendenze e dei Musei regionali. Peraltro ci si chiede se questi legislatori siano a conoscenza delle le attuali drammatiche carenze d’organico tecnico scientifico del Centro regionale di restauro?
– articolo 9 in quanto è una replica dell’articolo 49 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
– articolo 10 in quanto è una replica dell’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
– artt. 49 e 54 del DDL che contengono la delega da parte della Regione al responsabile dello sportello unico per l’edilizia dei Comuni per la concessione delle autorizzazioni paesaggistiche. Tutto ciò è in palese contrasto con quanto prescritto dall’art. 146 del Codice che prevede al comma 6: “La regione esercita la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. Può tuttavia delegarne l’esercizio, per i rispettivi territori, a province, a forme associative e di cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni sull’ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni, purché gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”. Come è evidente, quindi, in contrasto con quanto disposto dal Codice, si intende delegare le funzioni regionali in materia di autorizzazione paesaggistica ad un organo comunale che esercita funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia e questo, inoltre, senza valutare se gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche.
Il Titolo V “Disposizioni in materia di appalti nel settore dei beni culturali” è illegittimo perché intende recepire alcune norme del Codice degli appalti, approvato con il decreto legislativo n. 50/2016, il quale, trattandosi di una riforma economico sociale è vigente in Sicilia dalla sua approvazione, per il principio di recepimento dinamico, analogamente ai regolamenti da questo derivati , tra cui il Regolamento per gli appalti nel settore dei beni culturali, emesso dal MIBACT con DM 154 del 22 agosto 2017.
Si fanno, inoltre, rilevare le gravi incongruenze del disegno di legge proposto con lo stesso quadro normativo e amministrativo della Regione Siciliana, attualmente vigente. Tali incongruenti disposizioni legislative, se approvate, produrrebbero gravi danni all’esercizio dei compiti costituzionali di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico da parte dell’amministrazione regionale dei beni culturali.
Andando per ordine, appaiono incongruenti all’assetto attuale del sistema regionale di tutela: nel Titolo I parte dell’articolo 3; nel titolo III, il Capo I “Musei”, il Capo II “Biblioteche e Archivi”; il Titolo IV “Parchi archeologici”; il Titolo VI “Norme sulla pianificazione paesaggistica”. Si spiegano nel dettaglio le incongruenze evidenti in tali proposte legislative.
Nell’articolo 3, commi a) e j) si fa esplicito riferimento all’intervento dei privati nelle attività di valorizzazione e gestione dei beni culturali siciliani, mentre al comma c) dello stesso articolo si valorizza “l’apporto del mondo del volontariato come risorsa complementare e integrativa al ruolo degli operatori professionali”.
Preoccupa molto che questo intervento possa avvenire al di fuori di un sistema di regole chiare e trasparenti che definiscano ruoli e competenze specifiche, in particolare per quello che riguarda la tutela del lavoro professionale nel campo dei beni culturali, troppo spesso sostituito da lavoro gratuito, senza garanzie per i lavoratori e senza un controllo della qualità del lavoro svolto.
Si fa rilevare che un uso indiscriminato di “volontariato” nelle azioni di tutela, conservazione, valorizzazione dei beni culturali potrebbe essere in contrasto con la normativa “sui professionisti dei beni culturali” contenuta nell’articolo 9 bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Se si associa tale uso con il progressivo svuotamento del ruolo istituzionale di garanzia e controllo delle Soprintendenze per i beni culturali e ambientali che si attuerebbe con l’approvazione del DDL in oggetto, questa incondizionata apertura ai privati, sia a scopo di lucro che di tipo volontaristico, potrebbe indebolire il carattere pubblico e sociale della tutela dei beni culturali siciliani fortemente voluto e affermato dai legislatori regionali all’epoca delle riforme della “politica dalle carte in regola” dei Governi regionali della fine degli anni ’70, presieduti da Piersanti Mattarella, cui si devono le leggi 80/1977 e 116/1980, ancora vigenti.
I capi II e III del Titolo III del DDL, dedicati al sistema regionale museale e a quello delle biblioteche, sono generici e ripetitivi delle disposizioni statali in merito, senza alcun riferimento concreto al contesto siciliano, nel quale da anni si segnalano, ad esempio, le drammatiche carenze di professionisti dei beni culturali negli organici di musei e biblioteche regionali e degli enti locali.
Il Capo II è stato redatto senza tenere conto dell’attuale organizzazione delle biblioteche nel territorio regionale. In particolare sembra sconoscere il fatto che Sicilia esistono da 20 anni circa i Poli bibliotecari provinciali, affidati dalla Regione alle Soprintendenze territoriali.
La Sicilia è una delle poche regioni europee a non essersi dotata di legge sulle biblioteche. Questo non significa che nel frattempo, su emanazione del Ministero, non ci si sia organizzati per garantire i servizi e creare le reti territoriali, con competenza provinciale.
In applicazione dell’art. 10 della L. 17/91, del D.A. 6688/99 e della Circolare assessoriale N° 12/2000, in Sicilia sono stati promossi e attuati i Poli bibliotecari provinciali, di competenza delle Soprintendenze BB.CC.AA. Questi sono stati gli obiettivi dei Poli: la realizzazione di una banca dati bibliografici provinciale; la diffusione della lettura e la promozione di iniziative culturali; l’attivazione di servizi informatizzati al pubblico. I Poli esistono quindi da anni e operano attivamente sul territorio: alimentano gli Opac, pubblici cataloghi online, e alcuni di essi hanno attivato i portali web.
In Sicilia non tutti i poli sono SBN, alcuni non hanno ancora aderito all’Indice nazionale. Che ne sarà quindi dei Poli fin qui costituiti? Il quesito non è secondario: le banche dati informatizzate fin qui costituite sono consolidate, basate peraltro su software differenti (seppure con standard internazionali): lo “schiacciamento” delle notizie di due banche dati esistenti comporterebbe un costo e un’organizzazione notevoli, oltre ad uno spreco di risorse ingiustificato. I Poli hanno già speso due finanziamenti europei. La Regione ha scelto 20 anni fa di non creare un Polo regionale unico. Adesso ci ripensa?
Quello che si può fare è promuovere la costituzione di Sistemi bibliotecari in affiancamento ai Poli. Le biblioteche del Polo si uniscono in un sistema e ogni ente versa una quota minima per finanziare iniziative e servizi aggiuntivi. Ma questo non è necessario sia realizzato attraverso una legge, può essere promosso dal Dipartimento e/o dalla Biblioteca regionale centrale, se mai svolgesse il suo ruolo di affiancamento e guida per le biblioteche del territorio regionale.
Il Capo I del titolo III intitolato “Musei” rivela, inoltre, tutta la sua inconsistenza se si guarda al caotico contesto organizzativo nel quale si trovano oggi i Musei siciliani, privati di autonomia scientifica e gestionale perché confusi dentro le mega strutture burocratiche denominate “Parchi archeologici”. Tali nuovi servizi del Dipartimento regionale dei beni culturali, creati un anno fa a seguito di una disposizione della Giunta di Governo, non rispettano né i limiti territoriali delle aree vincolate che per ciascun Parco archeologico sono stati definiti dal decreto assessoriale di istituzione né i compiti di tutela archeologica e paesaggistica che gli assegna il titolo II della legge regionale 20/2000.
Ad esempio nel servizio 39 denominato “Parco archeologico di Siracusa, Eloro e Villa del Tellaro” sono stati accorpati il “Parco archeologico della Neapolis di Siracusa, di Eloro e della Villa del Tellaro”, istituito con il D.A. n. 18/2019 che detta misure di conservazione delle aree di tutela, insieme con altre aree archeologiche demaniali di Thapsos, Pantalica e Akrai che sono sottoposte alla tutela della Soprintendenza di Siracusa da appositi decreti di vincolo e i musei archeologici di Siracusa e Palazzolo Acreide. Così il Museo P. Orsi di Siracusa, uno dei più grandi ed importanti del Mediterraneo, ha perso la sua autonomia scientifica e gestionale, non ha più neanche un direttore ed uno staff specifico.
In tale caos organizzativo il Titolo IV del DDL sui “Parchi archeologici” aggiunge confusione a confusione nel “sistema dei parchi archeologici siciliani” normato dal titolo II della legge regionale 20/2000. Risulta, infatti, insostenibile da un punto di vista organizzativo ed economico la proposta di sperimentare in Sicilia il bando pubblico internazionale di selezione dei direttori dei 14 Parchi archeologici siciliani, istituiti ai sensi della LR 20/2000, ma quasi tutti perimetrati e adottati per decreto solo nel 2019, e subito confusi insieme a “luoghi delle cultura” di diversa tipologia, quali aree archeologiche e musei grandi e piccoli, all’interno delle mega strutture burocratiche prima descritte.
Prima di mettere mano alla normativa regionale, occorrerebbe applicare quella vigente e riordinare “il sistema dei parchi archeologici siciliani”, ripristinando l’autonomia scientifica e gestionale dei singoli Parchi che le leggi regionali e i decreti di istituzione prescrivono, al fine di assicurare l’espletamento delle delicate funzioni di tutela archeologica assegnate loro dalla LR 20/2000, direttamente discendenti dal dettato costituzionale.
Sempre in merito al Titolo IV, non si comprende, infine, la ratio dell’articolo 43, poiché esso abroga una norma già abrogata. Si rileva infatti che il proponente, sconoscendo la norma abrogativa del 2015, con l’articolo 43 abroga l’articolo 4 della legge regionale 80/1977 già abrogata e lo sostituisce con una norma che, comunque, mantiene la rappresentanza ristretta del Consiglio regionale dei beni culturali e ambientali.
Infatti, nel 2015, una norma in finanziaria, il comma 1 dell’articolo 61 della legge regionale 15/2015, ha soppresso l’articolo 4 della legge regionale 80/1977, restringendo drasticamente il numero dei membri del Consiglio regionale a poche unità tutte di nomina assessoriale. Si è creato così un organo puramente consultivo, emanato direttamente dall’esecutivo politico, cancellandone l’autorevolezza e l’autonomia scientifica e rappresentativa.
Andrebbe, in realtà, abrogato l’articolo 61 della legge regionale 15/1015, ripristinando l’ampia e qualificata partecipazione democratica al Consiglio regionale e restituendogli le competenze che gli sono state sottratte con norme inserite in una legge finanziaria.
L’istituzione in Sicilia di un Consiglio regionale dei beni culturali e ambientali è previsto dai decreti delega 635 e 637/1975 del Presidente della Repubblica. Deve avere, ai sensi dei D.P.R., le competenze del Consiglio Nazionale dei beni culturali e del paesaggio, il cui autorevole parere resta, comunque, valido in Sicilia, sulle materie di carattere nazionale. La legge 80/1977, con l’articolo 4, quindi, ha istituito il consiglio regionale dei beni culturali e ambientali con compiti analoghi all’omologo Consiglio Nazionale, e ha previsto una pari e ben qualificata partecipazione di esperti del settore dei beni culturali.
Infine gli articoli 52 e 53 (Titolo VI) dettano nuove disposizioni sulle modalità di realizzazione del Piano Paesaggistico regionale, assegnandone la competenza all’Assessorato Territorio e Ambiente e, quindi, sospenderebbero il procedimento in atto da parte dell’Assessorato Beni culturali e Identità siciliana di adozione del Piano Territoriale Paesaggistico Regionale, procedimento avviato nel 1999 con l’adozione delle Linee Guida del P. T. P. R. e giunto quasi alla sua conclusione dopo vent’anni, dopo una lunga e difficile fase di concertazione con le comunità locali, sospensioni e rettifiche a seguito di sentenze dei tribunali amministrativi. Rileviamo la dannosità e pericolosità dell’annullamento del procedimento di adozione del P.T.P.R., anche in relazione al fatto che le norme di tutela contenute nei Piani d’ambito approvati e in corso di adozione sono stati ritenuti già vigenti dalla giurisprudenza amministrativa.
La Regione Siciliana, a differenza delle altre Regioni italiane, non ha mai legiferato in tema di pianificazione paesaggistica, e la competenza della redazione del Piano Paesaggistico è stata attribuita, ai sensi della Legge 1497 del 1939, del D.P.R. 805/1975, art. 31, e della Legge 341/1975, all’Assessorato dei beni culturali.
Risulta paradossale che il legislatore regionale voglia oggi stravolgere l’iter procedurale di redazione e approvazione del Piano Paesaggistico, proprio adesso che l’iter, pur in assenza di una normativa regionale, sembra avviato, dopo tante difficoltà, a un esito positivo.
In conclusione, il disegno di legge intitolato “Disposizioni in materia di beni culturali e di tutela del paesaggio” in discussione all’ARS contiene norme di recepimento del Codice dei beni culturali e del paesaggio che sono illegittime in quanto il Codice, approvato con D. Lgs. n. 42/2004 e s.m.i., gode del principio del recepimento dinamico. Tali norme, inoltre, modificherebbero i compiti istituzionali degli organi tecnico- scientifici regionali delegati dallo Stato ad esercitare gli obblighi di tutela del patrimonio culturale imposti dal dettato costituzionale.
Come già evidenziato, per di più, l’articolato contenuto nei Titoli III, IV e V è incongruo rispetto all’attuale assetto del sistema regionale di tutela e può produrre gravi effetti distorsivi dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa di salvaguardia, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale da parte degli organismi tecnico-scientifici dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana.
Il disegno di legge in esame non affronta, invece, le problematiche reali del sistema regionale di tutela che costituiscono la causa principale dei ritardi dell’azione amministrativa nell’espletamento da parte della Regione Siciliana del compito costituzionale di tutela del patrimonio culturale conservato nei suoi territori, svolto in applicazione della normativa nazionale di tutela, per il quale è competente a seguito della delega delle funzioni statali da parte del Presidente della Repubblica, contenuta nei DPR nn. 635 e 637 del 30 agosto 1975.
L’inefficienza amministrativa discende dalle attuali distorsioni nell’assetto organizzativo della amministrazione regionale dei beni culturali che sono evidenti anche solo a scorrere l’organigramma delle strutture centrali e periferiche dell’Assessorato dei beni culturali e dell’Identità siciliana.
Infatti, a seguito dell’istituzione del “ruolo unico della dirigenza” con la LR 10/2000, e della conseguente soppressione di fatto del “ruolo tecnico dei beni culturali” istituito dalla LR 116/1980, insieme alla relativa pianta organica, rideterminata dalla LR 9/1999, tuttora vigente, è sparito qualsiasi ordinamento disciplinare degli incarichi dirigenziali e direttivi delle Soprintendenze, Biblioteche, Musei e Parchi archeologici.
Ad esempio quasi tutti i Parchi e i Musei archeologici, come anche la maggioranza delle sezioni tecnico scientifiche per i beni archeologici delle Soprintendenze non sono dirette da archeologi, in contrasto con la normativa regionale già citata e quella nazionale che ha istituito elenchi dei “professionisti dei beni culturali” (art. 9 bis del Codice e il recente DM 244/2019) Risulta in contrasto con tale ampia normativa anche il fatto che tutte le sezioni per i beni storici-artistici, demoetnoantropologici e bibliografici delle Soprintendenze siciliane non siano dirette rispettivamente da storici dell’arte, antropologi e bibliotecari.
La giustificazione dell’amministrazione che non sarebbero presenti nei ruoli regionali queste figure professionali è contraddetta dalla presenza in buon numero nell’assessorato dei beni culturali di funzionari direttivi archeologi e storici dell’arte, assunti nel 2005 tramite il concorso per la qualifica di “dirigente tecnico archeologo e storico dell’arte”, bandito a seguito della rideterminazione degli organici prevista dalla legge regionale 8/1999. Ma tale personale altamente qualificato, che ha vinto un concorso per cui erano previsti come requisiti d’accesso titoli di laurea specialistica e titoli post-laurea come specializzazione e dottorato, è stato inquadrato con un livello inferiore agli attuali funzionari diplomati, giunti all’apice della carriera, senza alcuna selezione, solo attraverso promozioni di massa dal V livello originario al VII attuale.
A seguito di tale demansionamento gli attuali funzionari direttivi archeologi e storici dell’arte, dopo quindici anni dalla loro assunzione, rimangono ancora privi di incarichi direttivi, a differenza dei pari grado funzionari direttivi statali che nel MIBACT dirigono aree e Parchi archeologici, Musei e le rispettive aree di competenza previste nelle Soprintendenze uniche territoriali.
Si tratta di incarichi statali non dirigenziali, analoghi per funzioni tecniche e ruolo direttivo alle direzioni delle Unità Operative di base della Regione Siciliana, che invece vengono, inspiegabilmente, assegnate ai dirigenti del ruolo unico, con aggravio di spesa, a causa delle cospicue indennità dirigenziali attribuite, e spesso senza la giusta corrispondenza tra le mansioni professionali esercitate e i titoli richiesti dalle leggi.
Insomma, in Sicilia, contrariamente a quanto avviene nel resto del Paese ed anche negli enti locali, le unità operative ed altri incarichi di natura non dirigenziale, come la direzione dei siti culturali minori, invece di essere assegnati ai funzionari direttivi con laurea specialistica, archeologi o storici dell’arte, vengono attribuite ai dirigenti di terza fascia, senza alcun rispetto delle competenze professionali richieste dalle leggi statali e regionali.
Si produce, così, un danno doppio: erariale per il conferimento di indennità dirigenziali, di decine di migliaia di euro, per posizioni organizzative che richiederebbero, invece, incarichi direttivi di minore entità economica; e al patrimonio culturale la cui tutela non viene affidata alle competenze dei professionisti dei beni culturali.
È evidente come da questo caotico organigramma derivi una diffusa inefficienza del sistema di tutela regionale e, quindi, la lentezza e inefficienza dei procedimenti amministrativi, con grave danno per la salvaguardia del patrimonio culturale della Nazione conservato nei territori siciliani.
È paradossale che la politica regionale accusi oggi di inefficienza burocratica gli Istituti regionali della tutela, dopo averli affidati alla direzione e responsabilità di dirigenti che essa stessa ha selezionato ope legis e messo a capo delle strutture e delle unità operative e, addirittura, usi questa accusa per demolire la normativa nazionale e i principi costituzionali di tutela.
A conferma di tale paradosso, per quanto attiene alla attuale carenza di antropologi e bibliotecari, va rilevato il fatto che la stessa amministrazione regionale ha recentemente sospeso l’assunzione dei vincitori dei concorsi del 2000 per dirigente tecnico antropologo e bibliotecario, dichiarando che la Regione Siciliana non necessita di queste figure professionali.
Ricordiamo a questo proposito la surreale vicenda del Concorso del 2000 per assistenti restauratori, nella quale i vincitori di concorso si sono visti costretti a ricorrere alle sentenze del Giudice del Lavoro per veder riconosciuto il diritto all’assunzione, quasi a vent’anni dal Bando, dopo che l’Assessorato regionale per i beni culturali aveva tentato di opporsi all’inquadramento dei professionisti che essa stessa aveva selezionato e nonostante il fatto conclamato che negli organici del Centro regionale del Restauro e di altri laboratori regionali di restauro non vi fossero più restauratori in servizio.
Per queste ragioni oggi l’intero sistema istituzionale pluridisciplinare di tutela del patrimonio culturale della Regione Siciliana, fondato sulla unificazione di competenze diverse negli stessi enti di tutela, le Soprintendenze per i beni culturali e ambientali, e sulla natura scientifica differenziata delle sezioni tecnico scientifiche, che debbono essere assegnate ai diversi specialisti della tutela dei beni culturali, è stato disarticolato di fatto nel suo ordinamento, nonostante restino in vigore le leggi regionali che istituirono le Soprintendenze uniche, le LL. RR. 80/1977 e 116/1980.
Per presunti motivi di riorganizzazione e risparmio economico sono state unite sotto un’unica unità operativa: la sezione storico-artistica con la sezione architettonica e la sezione demo etnoantropologica con la sezione paesaggistica. Il risultato è che entrambe le sezioni vengono dirette da figure professionali che non possiedono i requisiti per assumersi la responsabilità di provvedimenti di tutela per Beni storico artistico o antropologici, ai sensi dell’articolo 9 bis del Codice e della legge regionale 116/1980. Anche la motivazione di risparmio economico si rivela inesistente dal momento che l’assegnazione di tali unità operative ai dirigenti del ruolo unico comporta un forte aggravio di spesa per l’amministrazione regionale, ingiustificata visto che si tratta di postazioni non dirigenziali che dovrebbero essere assegnate con grande risparmio a funzionari direttivi laureati in possesso dei titoli professionali previsti dalla legge.
La prassi siciliana per cui l’amministrazione regionale riserva gli incarichi direttivi come le unità operative ai dirigenti del ruolo unico non deriva da norme regionali ma solo da una circolare del lontano 2001, che prevedeva, nella prima applicazione della legge 10/2000, l’attribuzione delle unità operative ai dirigenti, con la giustificazione che i dirigenti regionali fossero in forte soprannumero e avessero diritto tutti ad un incarico con indennità dirigenziale. E così da quasi vent’anni si continua ad erogare indennità dirigenziali per ruoli direttivi senza, peraltro, assicurare le competenze professionali adeguate ai compiti istituzionali esercitati.
L’ha scritto anche il procuratore della Corte dei Conti, Pino Zingale, nella sua requisitoria del 2016 contro l’approvazione del bilancio regionale: nell’amministrazione regionale dei beni culturali non ci sono le persone giuste al posto giusto. Eppure, come abbiamo visto, non mancano nei ruoli regionali archeologi e storici dell’arte, ma non vengono loro assegnate le mansioni e gli incarichi direttivi adeguati al loro elevato profilo professionale.
Il demansionamento dei funzionari regionali archeologi e storici dell’arte, inoltre, costituisce una grave penalizzazione di questo personale altamente qualificato rispetto ai loro pari nell’amministrazione statale di tutela, privandoli delle analoghe possibilità di carriera e per questo viola il principio di equità giuridica ed economica dettato dall’articolo 14 dello Statuto Autonomistico.
Il disegno di legge in esame non affronta alcuno di questi problemi che, invece, rappresentano il cuore della questione siciliana dei beni culturali. Non è più possibile accettare il fatto che a dirigere Musei e parchi archeologici non siano archeologi e che le prestigiose Gallerie d’arte e Musei regionali che contengono importanti opere artistiche non siano diretti da storici dell’arte.
Per porre rimedio a tale confusione di ruoli direttivi e funzioni tecnico-scientifiche nell’amministrazione regionale dei beni culturali non è necessario un intervento legislativo, occorre semplicemente applicare la normativa nazionale e regionale esistente.
La soluzione ai gravi problemi del sistema regionale di tutela può venire solo dal ripristino del ruolo tecnico del personale dell’amministrazione regionale dei beni culturali, come previsto dalla pianta organica contenuta dalla legge regionale 8/1999, mai abrogata quindi vigente.
Ciò renderà possibile l’indizione di nuovi bandi di concorso per i “professionisti dei beni culturali” previsti dall’articolo 9 bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per cui si rileva un forte vuoto di organico nell’attuale assetto dell’amministrazione regionale dei beni culturali.
Una riforma effettiva del settore dovrebbe porsi l’obbiettivo di rendere efficace il dettato costituzionale di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione, di cui fanno parte anche i beni culturali siciliani, anche attraverso una migliore e più efficiente azione burocratica. In effetti, sempre più spesso viene oggi avanzata a livello nazionale e regionale la richiesta di una burocrazia più efficace e ‘semplice’, necessaria come ha dimostrato la recente fase di crisi determinata dall’emergenza COVID. Se la semplificazione si rende necessaria, questo non può e non deve portare ad un depotenziamento delle Amministrazioni pubbliche, delle sue strutture e delle sue leggi. Al contrario, per avere una burocrazia adeguata alle difficili condizioni del Paese, bisogna semplicemente renderla più efficace attraverso il rispetto delle leggi, un migliore utilizzo delle specifiche competenze tecniche e un rafforzamento delle risorse finanziarie disponibili, esattamente il contrario di quanto fatto nel corso degli ultimi decenni.
Per raggiungere tale obiettivo nel campo dei beni culturali si ritiene assolutamente necessario che nella Regione Siciliana siano rafforzati il ruolo e la capacità di intervento delle istituzione preposte alla tutela, in primo luogo le Soprintendenze provinciali per i beni culturali e ambientali, ripristinando la necessaria multidisciplinarietà tramite la ricostruzione di un assetto organizzativo basato sul giusto riconoscimento dei ruoli e profili professionali specialistici attualmente presenti nel Dipartimento dei beni culturali. È necessario quindi predisporre una pianta organica rispettosa delle leggi nazionali e regionali di tutela.
La rifunzionalizzazione del ruolo tecnico nell’ambito dei beni culturali e la conseguente ridefinizione della relativa pianta organica darebbe l’opportunità ai professionisti strutturati nei ruoli regionali dei beni culturali di avere finalmente il giusto riconoscimento del proprio ruolo direttivo e al tempo stesso creerebbe le condizioni per nuovi concorsi aperti alle nuove generazioni, al fine di colmare i vuoti di organico che nel corso del tempo si sono venuti a creare.
Da un punto di vista delle risorse finanziare è necessario un nuovo e più efficace trasferimento di risorse ordinarie al settore dei beni culturali. Nel corso di questi ultimi decenni si è infatti assistito ad una costante diminuzione delle risorse che la Regione ha stanziato per tale fondamentale settore all’interno del proprio bilancio. Si è passati infatti dai 500 milioni di euro stanziati nel 2009 per i beni culturali siciliani ai soli 10 milioni degli ultimi anni. Si è in parte provato a colmare questa grave carenza di adeguati finanziamenti utilizzando le risorse rese disponibili dai fondi strutturali della Comunità Europea, senza però ottenere risultati significativi in tal senso, soprattutto per la scarsa capacità di progettazione degli interventi causata dal deficit di competenze specialistiche nei ruoli dirigenziali dell’Assessorato dei beni culturali e ambientali. Il risultato è davvero desolante: fondi non utilizzati e restituiti all’Europa, interventi realizzati e poi resi inefficaci dalla mancanza di una seria politica gestionale e, allo stesso tempo, una drastica diminuzione dei fondi ordinari che rendono inefficace l’azione di tutela e valorizzazione degli Enti istituzionali.
Distinti saluti.
Ebe Giacometti
Presidente Italia Nostra
Rita Paris
Presidente Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli
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